Pratelline le chiamava la zia Catina, che io chiamavo Rina anche se il suo nome era Caterina.
Da bambina, in estate, passavo parecchie settimane a casa sua. Non aveva figli e io ho sempre sentito di essere la sua nipote preferita, la figlia che avrebbe voluto.
Sono certa che ciò non fosse da attribuire a qualche mia speciale qualità ma semplicemente al fatto di essere nata quando lei viveva a casa con la mia famiglia. Mi aveva vista nascere e si era anche presa cura di me nei primi mesi.
La zia Rina viveva in una casa che adoravo.
D’estate ci viveva da sola perché lo zio lavorava fuori. Io allora andavo da lei ed era bellissimo. Aveva un cane, ha sempre avuto lo stesso cane per quarant’anni. Piccolo bianco e ricciuto, sempre con lo stesso nome: Rasti. Lo zio a dire il vero lo chiamava Girardengo.
La casa aveva una lavanderia, una cantina, una soffitta, un giardino meraviglioso con fiori ordinatissimi, un orto ordinatissimo e degli alberi perfetti. In un angolo c’era un piccolo pollaio e una conigliera.
La zia era una donna di gran classe, maturata con il lavoro, la cura amorevole per ogni dettaglio e una capacità, per me incredibile, di sapersi accontentare.
I fiori del giardino rappresentavano la sua perfezione. Ogni stagione ne vedeva crescere di diversi, tutti meravigliosamente puntuali, tutti bellissimi e perfetti.
Attorno alla casa un prato così soffice da starci sempre scalzi. A volte era completamente bianco, ricoperto dalle pratoline. Io letteralmente impazzivo. Chiedevo il permesso a mia zia di raccoglierle. La raccomandazione era: “Prendile col gambo lungo.” Ne preparavo dei mazzetti legati insieme, come mi aveva insegnato lei, con un paio di fili d’erba. Una volta pronti finivano in piccoli vasetti colorati che la zia sistemava in casa. Il retro della casa era a Nord. Là la zia metteva a svernare le piante da interno. C’era anche un pozzo, l’acqua non era potabile ma perfetta per l’orto e per il giardino.
Io giocavo con Rasti, con i conigli e con dei pezzi di legno che mi regalavano i gestori della segheria poco distante dalla casa.
Con la zia andavo a fare la spesa alla cooperativa che vendeva di tutto. A me, bambina di città, pareva tutto meraviglioso.
La sera guardavamo insieme la televisione. Ricordo ancora con terrore Belfagor.
La zia aveva un’unica paura: il temporale. Impazziva di terrore, chiudeva tutto e staccava ogni possibile elettrodomestico. Il pericolo maggiore per lei era il cavo dell’antenna della televisione. Sosteneva che non si contavano i morti e le case in fiamme causate da un fulmine passato da quell’abominevole cavo. Io al contrario ho sempre amato il temporale, ma stavo zitta e godevo dell’opportunità di dormire con lei, nel lettone che la sua paura mi offriva.
Ieri sono andata a pranzo dallo zio, il marito di Caterina che è morta sette anni fa e che non ha goduto delle mie amorevoli cure. Appena arrivata lo zio mi ha detto: “Peccato, ho fatto segare l’erba del giardino, non ho pensato che saresti venuta. Era un vero spettacolo, tutto bianco di pratelline. Ti ricordi quanto ti piacevano da bambina?”
Ohhh, mi hai ricordato una parola che non sentivo da tantissimo. A bocca aperta 🙂
Ogni tanto bisognerebbe rievocarle.
La tua scrittura è delicata, carezzevole, discreta. Ed è ancor più apprezzabile perché appartiene ad una penna vigorosa, tagliente a volte, cinica ed impassibile altre.
È la varietà a colpirmi. Così come quando a suscitare la mia attenzione è un brano musicale che sa modificare i toni, le sfumature, gli attacchi.
Si.
Un bianco colorato di pratelline.
Zero 7 – in the waiting line
Credo che stamperò questo commento e terrò il foglio nella borsetta.
Grazie, sei generoso.
Che dolcezza!
Sono ricordi dolcissimi
anch’io ho una zia rina e ho scoperto dopo i vent’anni che il suo nome completo è caterina.
fico!!!
sapersi accontentare è un gran dono, spesso una gran fatica da conquistare. bel post.
oggi doppio abbraccio.
Lud
che lusso!
grassie stea!
Proprio un bel racconto!
Giuseppe
Grazie. 🙂
Le pratelline? Ne ho piantate un piccolo cespuglio otto anni fa nel giardino della nuoca casa e adesso sono diventate un prato insieme alle violette. Leggendoti ho capito il nuovo look.
Molto bello, dovresti scrivere sempre così, senza limitarti.
… sempre così … in che senso?
Tante parole come le pratelline 🙂
che bel quadretto interiore, lo dico seriamente
TADS
Fatico a crederti. 🙂
ho la sensazione tu mi abbia catalogato nel settore sbagliato,
non mangio carne umana, sallo 😉
peccato 🙂
avevi già il sale e il pepe in tasca?
A parte gli scherzi, i tuoi commenti sono spesso aciduli e allora una si difende 😉
a parte gli scherzi, io dico quello che penso, ipocrisia, melassa da cavalier servente, accondiscendenza, leccaculismo e bla bla bla non mi appartengono. Però… però quando esprimo un pensiero positivo è realmente sincero.
sembro una che ha il cavalier servente?
mi ha fatto sorridere la precisazione che hai inserito nel primo commento 😉
per cavalier servente intendo quei commentatori che di fronte a un nick femminile sbarellano concettualmente a prescindere dalle cose scritte.
mai capitato, spesso mi fanculizzano 😦
considerala una fortuna 😉
sai che palle???
… un culo!
Credo che sia perché non sono femminile
secondo me vanno a spurgare miele altrove per non essere sfanculati loro, la femminilità vera è fatta di tante cose, pochissime di queste possono trasparire da un blog
la parola “femminilità” mi fa Gomitare!
anche me quando viene usata nel linguaggio comune come fosse una componente del look
ma anche quando sembra un attestato di merito
siamo in perfetta sintonia, almeno su questo 😉
porto fuori il cane,
alla prox
non lo dirò al mio gatto. notte
quel cane e’ vittima di un equivoco: rasty (forse rusty) era il bambino-caporale, mentre il cane si chiamava rintintin alla tv dei ragazzi, prima che tu nascessi 🙂
ml
ah ah ah bugiardo, sai bene che non mi sono persa una puntata…
Avevi paura anche tu di Belfagor?
Bel racconto…
bello il tuo racconto i ricordi sono sempre dolcissimi anche se non tutti……un bacio
già, non tutti. un bacio a te.