E’ venerdì e ogni venerdì, verso sera, mi nasce una cosa nello stomaco.
Non è una sensazione totalmente negativa, ricorda molto l’atmosfera di certe sale d’attesa di certi reparti ospedalieri dove c’è certa gente che però non sei tu e questo ti solleva.
Sono le 19.30.
Sono in auto nel traffico. Anche questa non è una sensazione totalmente negativa, ricorda molto l’atmosfera di certi sushi wok dove c’è certa gente obesa che si abbuffa che però non sei tu e questo ti solleva.
Sto aspettando che torni. Sono al parcheggio della stazione. C’è un sacco di gente che va e che viene. Tutti tirano lo sguardo fino ad un oltre che mi riesce facile immaginare.
L’atmosfera delle stazioni è strana se non parti, sicuramente meno di quella degli aeroporti quando non parti o non arrivi. Non è totalmente negativa. Ricorda molto gli occhi di certe donne che vorrebbero essere altrove, proprio come me, ma questo non mi solleva.
Arriva con il solito passo nervoso, tirando la valigia con la mano destra e tenendo stretto qualcosa con la sinistra, nella tasca. Mi sorride, ma appena, appena. Va dietro l’auto, bussa sul portellone perché gli apra il baule, ci infila la valigia. Sale.
Io comincio a parlare. Non gli chiedo com’è andata, di Roma, del concerto, nulla. Parlo come una mitragliatrice, a volume sostenuto, respiro veloce, le mani strette sul volante, guardo dritto a me, non guardo lui.
Dico che è venerdì e lui lo sa che di venerdì a me gira male. So che mi sta ascoltando parzialmente, che non fa caso alle mie parole, pensa che io dopo la vomitata mi calmerò, metterò in moto e tutto sarà come è sempre stato e che venerdì prossimo sarò ancora là ad aspettarlo.
Riparto con la solita menata di Penelope, dico che dovrebbe sapere che io non sono fatta per aspettare, dico che non so per quale motivo io sia fatta e che è questo il centro del problema, il nodo di tutta la questione.
Per un attimo lo guardo, ma è solo un attimo, giusto il tempo per accorgermi che è stanco e che tra qualche istante mi metterà una mano, la sinistra, sulla nuca e mi dirà che mi capisce, che mi è vicino, davvero, così vicino da sentire ogni mio pensiero.
E’ allora che gli dico che si è fatto tardi, che devo andare, che ho lasciato tutto in ordine, che non ha motivo di preoccuparsi, non per me.
Sento il suo sguardo interrogativo. Scendo, prendo la borsa dal sedile posteriore, mi avvicino al finestrino, quello dalla sua parte e appoggio la mano sinistra, lo accarezzo, come se volessi accarezzare lui. Anche il finestrino è gelido.
Cammino veloce, attraverso la strada, entro alla stazione. Nell’aria l’odore dei treni, le voci, le linee gialle, la tabaccheria, voglio un giornale. Il binario, quello giusto, salgo. Insieme a me arriva il treno, mi sposta i capelli, un po’ la gonna, i pensieri.
Salgo, ecco il posto, finestrino, morirò di freddo.
Metto su la borsa, mi siedo, mi accorgo che non ho ancora respirato, devo farlo al più presto.
Gente, l’ultima, che entra trafelata come felice di essere in quel riparo, inconsapevole dell’incertezza che incombe, del destino che l’aspetta.
Bello tu batta ancora, alla stazione, battuta in meno, battuta in più 🙂
Bello rileggerti ancora in questo scrivere mutato, ora è in apnea, bello …
A voler esser puntigliosi però (ed antipatico, che con te mi riesce ancora bene …) il povero Ulisse avrebbe trovato ad attenderlo alla stazione solo Argo non quella distratta di Penelope 🙂
Buon venerdì amica mia 🙂
Sì ho ricominciato a battere alla stazione. ..
Felicitazioni. 🙂
Questo è veramente bello. Mi capita raramente di pensarlo, meno ancora di riuscire a dirlo. Brava.
Grazie, tu mi fai un po’ paura
Peccato perché tu invece mi stai simpatica.
Anche tu
“Non sei tu e questo ti solleva” …il fatto è che nelle “battute” più o meno ci sei tu….e non ti solleva affatto… (…)
bentornata, piacere a leggerti sempre
Ciao
.marta
Grazie Marta. Strani periodi …
una Penelope moderna, sofferta ma non supina. Lo ha atteso ma ora abbandona il suo Ulisse per partire a sua volta. Immagino per una decisione improvvisa.
ml
hehehe, non è una decisione improvvisa!
Penelope premedita e si porta la propria valigia sul sedile posteriore 😉
Sì tiene sempre pronta.
Ciao ml
Una donna con la gonna! Notevole. L’attesa a me sa un po’ di presa per il culo: la odio.
Se la conoscessi non la odiresti
Odio l’attesa. Troppo praticata in passato: ho detto basta
Sì scusa avevo letto male
Intanto ben tornata dopo un periodo di silenzio con un pezzo strepitoso. Sembra quelle revolvong doors dove uno entra e un altro esce.
Ciao grazie
Tutto bene? Sembravi sparita.
Abbastanza bene, grazie sei gentile
Spero di leggerti presto. 😀
Mi sei mancata!
Bellissimo anche questo brano, come al solito 🙂
Ciao Andrea. Grazie