Mi girai nella direzione che guardava la voce della donna. Sì, era l’uomo per lei, con tutti i nervi nei posti giusti. Un uomo che le consentiva la battaglia, che la irritava se necessario, a volte la faceva soffrire. Lei era una specialista di certo tipo di sofferenza.
Avevano concepito quei quattro figli con la forza del desiderio e della passione, li avevano offerti al mondo. Un dono, il loro. Tutti e quattro, uno dopo l’altro senza il minimo dubbio, solo certezze.
Arrivò con lunghe falcate sulla sabbia calda. Per un secondo incrociai il suo sguardo.
Baciò la bambina che si era tolta gli occhiali, prese un telo dalla borsa che aveva portato la donna e si sdraiò al sole.
Non posso dire che fosse bello, ma tutto di lui rimandava a qualcosa di grande, di divino. Non c’erano sbavature nel suo corpo e lo sapeva. Doveva essere un amante scostante, di quelli che non ti accontentano mai, ma che poi diventano necessari.
“Vado a fare il bagno.” disse con una voce morbida e bassa.
Lei lo seguì. Camminavano uno accanto all’altra. Lui alto e riccio, lei più minuta e nervosa.
Passarono accanto ai tre figli impegnati nella buca, mentre quella che aveva tolto gli occhiali restò accanto al lettino dove fino a un minuto prima stava sdraiata la madre, quasi a sorvegliarne l’assenza.
Fu allora che ti sedesti accanto a me, facendomi spostare un po’ più in là sul lettino.
“Posso sapere a cosa stai pensando?” Io ti risposi sorridendo “Andiamo, ora è tardi davvero.”
Continui a guardare oltre, a guardare dentro. Bel post.
In realtà è troppo frettoloso. Ho omesso montagne di cose, lo devo riscrivere. Comunque tu mi preoccupi, sei diventato buono.
Ahaha, anche tu ti stai addolcendo sorella 🙂
Sarà l’età 🙂
L’età della ragione.
“di certo tipo di sofferenza”, senza “un” è voluto?
Sì, dici che è sbagliato?
Mah, non so. Non avrei dovuto domandartelo: il farlo ha evidenziato la mia ignoranza, non la tua.
No, al contrario
Niente da fare.
Continuo ad entrare nell’atelier di un vecchio pittore scorbutico che ha il fuoco, l’acqua, la terra, l’aria, tutti infilati nelle unghie.
Lui, dipinge.
Dipinge e non si gira neanche.
Ha la faccia, il corpo, le fattezze di un maleducato.
Si, certo, si può provare a bussare, provare a sedersi ad osservare, ma è così invaso, selvatico, irascibile, da tenere sempre gli occhi fissi sulla tela mentre la sporca, la inzuppa con colori che non sai neanche da dove cazzo li abbia presi.
“Da dove li hai fatti venire, vecchio?”
“Cosa?”
“Questi colori, da dove li hai fatti venire?”
“Non so. Dal mare, dalla spiaggia. Da quattro figli. Da un lettino.”
“Che risposte… ”
“Che domande.” Si ferma, osserva il quadro, annuisce.
Cielo, come lo detesto quando annuisce.
“Mi sono caduti addosso.” dice.
“Cosa? ” chiedo.
“I colori.” sussura. “Mi sono caduti addosso.”
C’è poco da fare. Lo odio. Lo amo.
Lo odio.
Love Calls – Darryl James Edit
È inutile, i tuoi commenti sono miliardi di volte più interessanti del post.
Mi sei mancato.
È la tua mente che mi è mancata.
Ciao. Un abbraccio
Qualcosa di “divino…”….
Ciao Marta. Bentornata
Pochi sanno osservare così attentamente. Pochi sanno guardare oltre. Bello il tuo prosieguo. 😊
Grazie, tante
il senso del post è racchiuso nella frase finale
‘“Posso sapere a cosa stai pensando?” Io ti risposi sorridendo “Andiamo, ora è tardi davvero.”ì
Tra loro non c’è più nulla solo quattro figli e basta. Non sono pochi ma sufficienti a creare il muro.
Sempre belli i tuoi post.
Grazie. Non credo sai, credo ci sia ancora molto
per me, sì.
ecco, sul padre mi ero sbagliato 🙂
ml
No, mi sono spiegata male io
Piaciuto molto questo racconto in due tempi, a più sbocchi. E’ il non detto che comanda e modifica la realtà. A piacimento.
A presto,
Paolo